Il romeno della porta accanto

Con questo primo post, Teodor Amarandei *, dà il via alla sua rubrica Il romeno della porta accanto, un osservatorio dall’Italia sulla Romania e su uno dei fenomeni migratori più importanti per il nostro paese dell’ultimo ventennio

Italia e Romania, 150 anni di storia comune.

Siamo un milione i romeni d’Italia, dieci mila i romeni di Padova e io sono uno di loro. Sono uno dei tanti romeni dalla porta accanto. In tanti ci apprezzano, altrettanti vedono in noi una minaccia, molti ci ignorano. Ma chi siamo? Da dove arriviamo? In quanti si sono fatti questa domanda, ma soprattutto in quanti sanno che siamo la nazione più vicina culturalmente all’Italia?

Questo anno festeggiamo i 150 anni dalla nascita dell’Italia; ma anche della Romania. E’ solo il giusto pretesto per cominciare a raccontare su questo blog chi siamo noi, i romeni dalla porta accanto.

Lupa capitolina nel centro di Bucarest

Affascinato di storia, da tempo avevo capito il legame speciale tra la Romania, il mio paese, e la Francia, la nostra sorella maggiore, come la chiamavano i nostri insegnanti. E non avevano torto. L’imperatore Napoleone III avevo tenuto al battesimo il piccolo stato appena nato a nord del Danubio dall’unione tra la Valacchia e la Moldavia, nel 1859, difendendo la giovane nazione romena contro gli imperi che la circondavano. Certo che tale posizione rispondeva agli interessi della Francia, ma quello che è rimasto nella coscienza collettiva romena è la gratitudine per la sorella latina maggiore. Tuttora chi va a Bucarest non può che respirare l’aria francofona della città di fine Ottocento inizio Novecento, anche se fortemente inquinata dall’architettura sovietica dell’ultima metà del secolo scorso. Le librerie francesi, le brasserie, i giorni della francofonia, le facoltà con insegnamento nella lingua di Voltaire non fanno che completare il quadro della piccola Parigi.

Ma quello che mi ha colpito profondamente è la mancanza di una simile coscienza collettiva anche del legame culturale con l’Italia. Devo riconoscere che anch’io mi limitavo a identificare Italia con Roma, con il suo impero. Certo, la conquista romana rappresenta un momento fondamentale per la storia della genesi della lingua romena, l’unica lingua latina a est di Trieste, ma tanto lontano nel tempo. Leggendo la Storia d’Italia di Montanelli ho scoperto la similitudine tra le storie contemporanee della Romania e dell’ Italia, ancora dalla loro nascita come nazioni, non a caso tutte e due con un forte appoggio francese. Sembra che l’imperatore Napoleone III si divertiva a fare il padrino delle nazioni. La Romania nasceva nel 1859 dopo i colloqui tra la classe politica romena con l’imperatore, così come l’Italia nasceva dopo l’incontro tra Cavour e Napoleone III. Ma ancora prima, il legame tra le tre nazioni prendeva forma con la Rivoluzione del 1848, quando i capi delle tre rivoluzioni erano in stretto contatto, tanto ché il leader romeno Nicolae Balcescu sceglierà Palermo come sua ultima dimora, dopo la sconfitta. Era solo l’inizio di un percorso storico comune di risorgimento e lotta per l’unità nazionale. Durante quell’estate del 1848 romeni e italiani, già nazioni ma non ancora uniti sotto uno stato, hanno scritto la loro storia comune. Oggi in pochi si ricordano questo legame, anche se non è un caso che tanti romeni hanno scelto l’Italia come secondo paese e tanti italiani, sopratutto veneti, vivono nel paese dei Carpazi. Forse è anche la polenta romena che li ha convinti. Faccio una parentesi, per dire che la polenta fu portata in Romania da un boiardo che studiava a Padova all’ inizio del ‘700.

Se nel 1861 a Torino nasceva l’Italia, nello stesso anno a Bucarest il principe Alexandru I. Cuza formava il primo governo unitario romeno, in barba alle proteste della Turchia e della Russia. La coscienza nazionale si stava formando di pari passo a sud delle Alpi e a nord del Danubio. Seguirono ancora anni di lotte per l’unità contro l’Asburgo, il nemico comune, che dominava ancora sul Veneto, Trentino, Friuli ma anche su Transilvania, Banat e Bucovina. La Belle epoque di fine ottocento vide i nostri giovani studiare insieme a Parigi, formandosi alla stessa scuola del nazionalismo alla francese e quindi seguire la stessa strada della lotta per creare gli stati nazionali unitari.

All’inizio del Novecento, Italia e Romania erano ormai mature per l’ultimo sforzo, anche il più difficile, la Grande Guerra. E di nuovo agirono di pari passo. Entrambi governi alleati in segreto con la Germania, dovettero rendere conto all’opinione pubblica che chiedeva l’unità nazionale. L’ Italia entrò in guerra nel 1915 contro i formali alleati e così fece anche la Romania un anno più tardi. Seguirono le disfatte di Caporetto e quelle subite dai romeni sulle cime dei Carpazi. Addirittura Bucarest venne occupata dai tedeschi, ma alla fine del 1918 le due nazioni risorsero sul Piave e a Oituz, Marasti e Marasesti. Italia e Romania diventavano Grandi, cioè per la prima volta abbracciavano l’intera nazione nei confini dello stesso stato.

L’euforia che segui alla Grande Guerra fu di breve durata, in quanto fu soppiantata dall’avvento dei totalitarismi di destra e di sinistra in tutta Europa. Alla Marcia su Roma compiuta da Mussolini rispondeva a Bucarest l’affermarsi della Guardia di Ferro di Codreanu, promotrice di un’ ideologia impregnata di misticismo, fascismo e anti-ebraismo. Se a Roma la democrazia si piegava sotto i delitti Matteotti e Gramsci, la Guardia di Ferro colpiva a morte il primo ministro romeno I. Ghica e apriva la strada alla dittatura reale di Carlo II. L’alleanza dei due paesi con la Germania di Hitler fu la conseguenza naturale di questa deriva a destra della Romania e dell’Italia, che purtroppo non fu solo politica ma anche culturale e sociale. La decisione più nefasta dei due governi, l’entrata in guerra al fianco del Terzo Reich, portò al fallimento delle dittature a Roma e Bucarest.

Anche la fine del fascismo ebbe la stessa dinamica nei due paesi. All’arresto del Duce da parte del re Vittorio Emanuele III, corrispondeva un anno più tardi l’arresto del maresciallo Antonescu da parte del re romeno Michele al Palazzo Reale di Bucarest.

Da questo momento in poi, il percorso storico parallelo dei due paesi fu bruscamente interrotto dalla Cortina di Ferro. Se Roma fu liberata dalle truppe alleate, Bucarest fu occupata dal esercito sovietico. L’Oriente latino perdeva per la prima volta il contatto con i latini dell’ Occidente. Forse solo le invasioni barbariche dalla fine dell’Impero Romano riuscirono a interrompere questo contatto naturale.

Quello che seguì per cinquant’anni fu un gelo assoluto e lentamente le nazioni latine dell’ Ovest dimenticarono la piccola sorella rimasta dall’altra parte del Muro. Se gli italiani, gli spagnoli, i francesi si chiamano tra loro cugini, dei romeni si sono dimenticati un po’ tutti. Solo negli ambienti culturali d’ élite si ricorda ancora il legame latino che riguarda i rapporti della Romania con l’Italia. Per la gran parte degli italiani i romeni sono un popolo slavo non bene identificato tra i tanti popoli dell’est.

Per un romeno questo fatto colpisce e ferisce. Il fatto che noi stessi ci chiamiamo romeni e il nostro paese si chiama Romania sono le testimonianze storiche più forti della nostra discendenza da Roma. Ma adesso tocca a noi, romeni d’Italia a dimostrare che siamo non solo i vicini di casa , ma anche i fratelli dalla porta accanto.

Teodor Amarandei


fonte articolo qui http://www.anordestdiche.com/senza-categoria/il-romeno-della-porta-accanto/

Dei romeni non sappiamo niente


Bucarest-Roma. Capire la Romania e i rumeni in Italia (I libri necessari)
Edizioni dell’Asino, 157 pagine, 12 euro



La comunità romena in Italia raccoglie circa 900mila residenti regolari e più di un milione di effettivi, ma di loro non si parla. Ogni tanto un cenno nelle pagine di cronaca nera, ma i giornali in genere non si interessano alla più importante comunità straniera. Questo libro a più voci cerca di riempire il vuoto. Mette insieme indagini sociali, racconti di esperienze personali, contributi più specialistici sulla letteratura e il cinema.

A saggi che mettono in luce una linea sottile ma tenace di relazioni italo-romene nel campo della cultura, seguono inchieste su aspetti fondamentali del rapporto tra italiani e romeni: la visione degli imprenditori e dei tecnici italiani che hanno spostato in Romania le loro attività, quella dei romeni che lavorano da noi facendo gli autisti, le assistenti familiari e soprattutto i muratori.

Qui e là riecheggia la cesura costituita da una data, 1 gennaio 2007, quando i romeni d’Italia, fino a quel momento sfruttati e chiusi nello stereo­tipo dell’extracomunitario, sono diventati cittadini europei a pieno titolo, potendo, se non altro, evitare il rimpatrio o denunciare il datore di lavoro. Quel provvedimento spiega lo sviluppo della comunità. Il contrasto tra cosa sono diventati per la legge e cosa sono rimasti nella percezione degli italiani dà una chiave per capire il silenzio che li circonda.

Internazionale, numero 911, 19 agosto 2011

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